La mancata esecuzione dei lavori da parte dell’appaltatore comporta la restituzione al condominio della quota del bonus facciate già corrisposta (Sentenza 2 ottobre 2023, n. 3756, il Tribunale di Torino ).

Nella sentenza in commento, il Tribunale di Torino ha stabilito che, laddove l’inadempimento non derivi da un giustificato motivo, il Committente ha il diritto di recedere dal contratto; diritto di recesso che è stato esercitato dal Condominio attraverso lo strumento della diffida ad adempiere. Qualora siano state versate delle somme per l’esecuzione delle opere pattuite, queste devono esser restituite dalla parte inadempiente, anche nel caso in cui tali somme afferiscano ad un bonus fiscale, come il bonus facciate al 90%. Inoltre, poiché per accedere alla citata agevolazione sono necessari determinati adempimenti i quali comportano dei costi per il Contribuente, il Tribunale ha disposto anche la restituzione delle somme spese per il sostenimento di tali oneri strettamente connessi alla detrazione fiscale in oggetto.

Il Tribunale di Torino ha accolto le doglianze di parte attrice, ritenendo legittimo l’esercizio del diritto di recesso in caso di inadempimento per la mancata esecuzione del contratto da parte della società appaltatrice. In tale prospettiva, il contratto si intende risolto; conseguentemente, viene disposta la restituzione delle somme versate dal Condominio relativamente ai lavori oggetto della scrittura privata fra le parti. Fra di esse vi è anche il 10% del bonus facciate, nonché le altre spese sostenute per avere i requisiti necessari ad accedere alla detrazione fiscale. 

Fonte © All-in condominio e locazione 2023

Lesione di legittima

La nuova Legge di bilancio Apporta delle profonde novità in tema di azione di riduzione per lesione di legittima. La riserva di legittima è uno strumento giuridico secondo il quale il testatore non può disporre interamente del proprio patrimonio, riservandone una quota per gli eredi legittimi.

Prima della riforma

Prima della riforma il soggetto leso dal testatore poteva pretendere la restituzione di un bene trasferito tramite atto donazione inter vivos impugnando il rogito. Tale regime applicato a tutti gli immobili donati creava una difficolta di trasferibilità dello stesso in quanto gli istituti di credito (in forza del citato brocardo) non concedevano finanziamenti in caso di immobile proveniente da donazione. Tale difficoltà nei trasferimenti si concretizzava spesso in una svalutazione del bene.

Dopo la riforma

La riforma prevede che il soggetto leso nel proprio diritto di legittima possa agire esclusivamente sul patrimonio del soggetto che ha ricevuto la donazione, facendo salvo così i terzi acquirenti e gli istituti di credito che concedono i finanziamenti.

Ma a questo punto cosa succede se il soggetto che ha venduto il bene si rende insolvente. Unico risultato al momento prevedibile è che il soggetto leso rimane tale finchè il ledente non acquisisca la capacità contributiva di risarcire la lesione.

Esempio:

Il signor Pippo è proprietario di un unico immobile sito in Topolinia. Prima della morte il signor Pippo (padre del signor Topolino e della signora Minni) dona un immobile di sua proprietà al figlio Topolino. Questi pensa di vendere l’immobile e si rivolge al signor Manetta per vendergli il bene a lui donato. Manetta acquista l’immobile. Muore il signor Pippo lasciando i figli eredi e nessun cespite da dividere. La signora Minni va dal fratello chiedendo di essere risarcita della lesione della quota di legittima (un terzo del valore dell’immobile in Topolinia). Non ricevendo risposta positiva si rivolge al Tribunale di Topolinia chiedendo l’annullamento sia dell’atto di cessione tra Manetta e Topolino sia della donazione di Pippo.

Prima della riforma il Tribunale avrebbe annullato l’atto e ripristinato l’asse ereditario leso. Al signor Manetta sarebbe rimasta l’azione per la restituzione delle somme incassate da Pippo a seguito della vendita.

Dopo la riforma Il Tribunale dichiarerà salvo il terzo (e con esso l’atto di donazione) e per gli effetti dichiarerà il signor Topolino creditore della signora Minni per la metà del valore incassato dalla vendita. La signora Minni dovrà quindi agire nei confronti del fratello Topolino per avere detta somma.

Costituzione condominio

Al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione con riguardo ai beni indicati dall’art. 1117 cod. civ., occorre far riferimento all’atto costitutivo del Condominio, cioè al primo atto di trasferimento immobiliare dall’unico originario proprietario ad altro soggetto, indagando se da esso emerga o no la volontà delle parti di riservare ad uno dei condomini o all’originario proprietario la proprietà dei beni che, per struttura e per ubicazione, siano potenzialmente destinati all’uso comune.

App. Roma 12 ottobre 2023, n. 6529

©banca dati SEAC

Incremento di valore della quota di contribuzione

L’ordinanza della seconda sezione della Corte di Cassazione n. 20888 del 18/07/2023, ha affermato che è nulla la deliberazione dell’assemblea di condominio approvata a maggioranza con cui si stabilisca, “per una unità immobiliare adibita ad uso ufficio ed in ragione dei disagi da essa provocati, un incremento forfetizzato della quota di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più consistente utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica del criterio legale dettato dall’art. 1124 c.c. (il quale già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani) richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione, non essendo comunque applicabile alle spese per il funzionamento dell’ascensore il criterio di riparto in base all’uso differenziato previsto dal comma 2 dell’art. 1123 c.c.”.
©Condominio24ore

Utilizzo privato del bene comune

Trib. Bergamo 12/07/2023 – n. 1544

La pronuncia in oggetto, oltre a definire il caso di specie ritenendo legittime le modifiche apportate al tetto mediante l’installazione dei pannelli fotovoltaici su una falda, ribadisce le condizioni poste dall’art. 1102 c.c. per servirsi della cosa comune.

Esse si sostanziano nel:

  1. divieto di alterazione della destinazione d’uso;
  2. consentire, comunque, un uso paritetico del bene da parte degli altri condomini.

Con riferimento al primo requisito, a quanto consta non si riscontrano particolari difficoltà interpretative, dovendosi valutare come sussistente il mancato rispetto del divieto di alterazione laddove le modifiche apportate dal singolo pregiudichino, fino addirittura a renderla impossibile, l’originaria funzione della parte comune. Con riguardo invece al secondo requisito, così come del resto precisato anche dalla giurisprudenza di legittimità richiamata nella stessa sentenza oggetto di commento, è necessario intendere il pari uso in maniera potenziale e non nel senso di assoluta parità in concreto. Diversamente ragionando, infatti, ad ogni partecipante sarebbe vietato un utilizzo più intenso della cosa comune, anche laddove il predetto uso non alterasse e non pregiudicasse, nella sostanza ed in concreto, la possibilità degli altri condomini di servirsene ugualmente e liberamente.

Rispettate allora le condizioni dettate dalla norma, il singolo condomino non è onerato nel chiedere una preventiva autorizzazione assembleare in relazione alle modifiche che intende apportare alla cosa comune per un suo più agevole utilizzo, a condizione che si tratti pur sempre di modifiche ex art. 1102 c.c. e non di innovazioni di cui all’art. 1120 c.c., per le quali è invece sempre necessaria una delibera da parte dell’assemblea condominiale.

Alla luce di quanto esposto è possibile concludere che è diritto di ogni condomino servirsi della cosa comune anche in maniera più intensa rispetto agli altri, nel caso in cui dalle sue modifiche non ne derivi il mutamento della destinazione d’uso del bene e sia comunque consentito il “pari uso” potenziale da parte degli altri partecipanti. Ne deriva pertanto che tale diritto sussiste nella misura in cui non si cagiona una lesiva invadenza degli uguali ed opposti diritti degli altri inquilini, da valutarsi tuttavia in concreto e non in termini di assoluta parità. Al ricorrere dei citati requisiti, il singolo condomino potrà dunque modificare la cosa comune al fine di un suo più comodo utilizzo, senza che ciò debba essere preventivamente autorizzato dall’assemblea. Infatti, la maggioranza assembleare non ha il potere di impedire siffatto uso, potendolo – al massimo – solo disciplinare. Sarà dunque unicamente in presenza di un regolamento condominiale di natura contrattuale approvato all’unanimità che si potrà derogare a quanto disposto dall’art. 1102 c.c. Ne deriva pertanto che, qualora il condominio non sia dotato del predetto strumento negoziale, non potrà contestarsi l’uso più intenso della cosa comune da parte di un singolo condomino se ciò non travalica i confini normativamente stabiliti ma si estrinseca esclusivamente nell’esercizio in concreto di un diritto soggettivo.

Tratto da un articolo della banca dati All-In.

Istituzione di un fondo cassa da parte del condominio

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nella sua sentenza numero 3132 del luglio 2023 ha rispolverato una sentenza della Suprema Corte secondo cui Appartiene al potere discrezionale dell’assemblea e non pregiudica né l’interesse dei condomini alla corretta gestione del condominio, né il loro diritto patrimoniale all’accredito della proporzionale somma – perché compensata dal corrispondente minor addebito, in anticipo o a conguaglio – l’istituzione di un “fondo-cassa” per le spese di ordinaria manutenzione e conservazione dei beni comuni” (Cass. civ., sez. II, 11 agosto 2016, n. 17035).

Fonte BD SEAC

Locazione turistica in condominio.

Quando il regolamento di condominio non elenca delle disposizioni che vietano l’esercizio di determinate attività (come ad es. uffici, pensioni, case famiglia….) e non rimanda a pregiudizi specifici che si intendono evitare (tranquillità, signorilità dell’edificio) che, comunque, non vieti l’utilizzo dei singoli appartamenti per sfruttamento turistico/ricettizio, può essere di supporto l’articolo 844 del codice di rito che prevede : “ll proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi“.

In merito la Suprema Corte ha evidenziato alcuni criteri per valutare il limite di tollerabilità quali

a. della situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, in base all’attività svolta normalmente in quel

determinato contesto;

b. della sensibilità del c.d. uomo medio;

c. della tutela del diritto alla salute, protetto in via diretta e primaria dalla Costituzione;

d. della priorità dell’uso, che pur costituisce un criterio secondario“.

La sentenza numero 3090 del 1993 ha stabilito che

deve aversi riguardo, per desumere il criterio di valutazione della normale

tollerabilità delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali e alla

destinazione assegnata all’edificio dalle disposizione urbanistiche o, in mancanza,

dai proprietari; in particolare, nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una

funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a destinazioni differenti, ad

un tempo ad abitazione e ad esercizio commerciale, il criterio dell’utilità sociale, cui

è informato l’art. 844 c.c., impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di

natura personale ed economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi

costituzionali le esigenze personali di vita connesse all’abitazione, rispetto alle

utilità meramente economiche inerenti all’esercizio di attività commerciali“.

L’amministratore di condominio è legittimato a partecipare alla mediazione anche senza delibera assembleare autorizzativa.

L’art. 2, co. 2 D. Lgs. 149/2022 (Riforma Cartabia), ha introdotto il nuovo articolo 5-ter al decreto Legislativo 28/2010, in forza del quale «[…] L’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi […]».

La nuova previsione introduce dunque una nuova legittimazione processuale (di fonte legale) in capo all’amministratore condominiale a partecipare alla procedura di mediazione.

L’amministratore, dunque, non sarà più condizionato nella partecipazione al procedimento di mediazione dal previo ottenimento di una delibera autorizzativa, ma potrà attivare, aderire e partecipare alla mediazione essendovi legittimato ex lege.

Il nuovo testo normativo, di fatto, recepisce e amplia un orientamento da anni avallato dalla giurisprudenza maggioritaria (ex multis, Cass. n. 1451/2014; Cass. n. 27292/2005): si ponga mente, infatti, al principio confermato anche di recente dalla Corte d’Appello di Catanzaro con la sentenza 28 luglio 2022 n. 914, secondo il quale l’amministratore di condominio può nominare un avvocato del condominio anche senza una previa delibera di autorizzazione dell’Assemblea, derivando tale potere dal più generale dovere di tutelare il condominio contro le azioni intraprese da terzi.

Fonte Cassa Forense

Di chi è il sottotetto?

(Cass. civ. n. 10269/2023)

Cassazione entra nel campo delle proprietà condominiale ribadendo che quando il denominato sottotetto ha dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo e non come vano un mero vano tecnico, con funzioni i isolamento termico e quando il vano non vi è un titolo chiarificatore (elemento principale per declararne la proprietà), è da considerarsi condominiale.

Scrive la Suprema Corte: “il vano sottotetto è di proprietà del Condominio, quando ha dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo e oggettiva destinazione concreta, sia pure in via solo potenziale, all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune. La presunzione di condominialità, infatti, trova applicazione ogniqualvolta, nel silenzio del titolo, il bene sia suscettibile, per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi.”

Pertanto innanzitutto va stabilito se esiste un titolo che assegna la proprietà (atto pubblico e/o regolamento di condominio) poi va vita la destinazione la struttura del vano.

@ Avv. Pietro Saija 2023